Tutti i pezzi del puzzle si incastrano perfettamente e lanciano le basi per rivalutare l’identità misteriosa di quella donna che ogni anno attrae attorno a se milioni di turisti. Stiamo parlando ovviamente de “La Gioconda”, il ritratto che il genio conosciuto in tutto il mondo come Leonardo Da Vinci, dipinse per il famoso mercante fiorentino Francesco del Giocondo che volle fare un regalo alla moglie, Lisa Gherardini, sposata in terze nozze e per inaugurare la nuova dimora e la nascita del loro secondo figlio.
Oggi sappiamo che il volto della Monna Lisa appartiene a quello della Gherardini grazie al manoscritto del Vasari “Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti“. Ma questa non è l’unica testimonianza. La ricostruzione che stiamo per proporvi è tratta da alcuni scritti a conferma che il volto di quel ritratto tanto famoso appartiene in realtà a Costanza D’Avalos.
A Napoli visse, nell’epoca per così dire “leonardesca”, una delle donne più ammirate e celebrate del Rinascimento italiano. Di lei scriveva un uomo a lui contemporaneo, Filotico: Costanza era bella, istruita, colta e scrisse anche dei poemi. Di questa donna Leonardo avrebbe dipinto un ritratto, pare perduto. Almeno è quanto si credeva fino all’inizio degli anni ’60.
A partire da questa data Pulitzer, il noto antiquario londinese, lanciò la sua tesi rivoluzionaria in merito all’identità de La Gioconda: addirittura lui avrebbe posseduto un dipinto simile non poco somigliane a la Manna Lisa.
Secondo Pulitzer nel 1495 Giuliano De Medici avrebbe commissionato a Leonardo il ritratto della sua amanti che sarebbe stata appunto Costanza d’Avalos, duchessa di Francavilla e valorosa Castigliana, napoletana, che difese l’isola d’Ischia dall’invasione francese.
L’opera che ritraeva il volto di Costanza D’Avalos però rimase incompiuto perché il duca mediceo convolò a nozze con Filiberta di Savoia e in casa non poteva certo possedere un ritratto della sua amante. Così, Leonardo, portò con se questo capolavoro, in Francia, custodendolo gelosamente, acquistato poi da Francesco I.
Tuttavia ci sono altre testimonianze che rafforzano la tesi dell’identità della Monna Lisa riconoscibile in quella di Costanza d’Avalos. A sostenerlo all’epoca fu Giovanni Paolo Lomazzo che pare ebbe contatti con un allievo di Leonardo, Francesco Melzi. Alcuni passaggi fanno rabbrividire: “l’opere finite di Leonardo da Vinci, come la Leda ignuda e il ritratto di Monna Lisa napoletana…“.
Anche il poeta parmense Enea Irpino sostiene la tesi d’Avalos dove tesse le lodi di un dipinto di Leonardo Da Vinci su una dama dimorante a Ischia. La stessa donna che lo stesso Leonardo avrebbe amato in segreto.
Di Costanza d’Avalos ha scritto anche Benedetto Croce. Sappiamo che restò vedova del principe di Taranto e che sposò in seconde nozze il Duca di Francavilla, salvo poi seguire il proprio fratello a Ischia dove governò l’isola.
Ad ogni modo il rapporto tra Napoli e Leonardo da Vinci fu molto stretto. Ci ritornava spesso. Un esempio è il suo ritratto che inviò a Salerno in dono ad una famiglia napoletana. Quando fu scoperto qualche anno fa si pensò ad un ritratto di Galileo Galilei ma si trattava in realtà di un autoritratto dell’artista toscano e su alcuni documenti legati all’opera stessa fa menzione dei suoi futuri viaggi a “Ilopanna”… il genio amava scrivere al contrario e probabilmente parla appunto di tornare nella città partenopea.
Fonti:
“101 perché sulla storia di Napoli che non puoi sapere”
altaterradilavoro.com