Nelle acque dei mari flegrei l’associazione Vela Latina Monte di Procida è riuscita a datare con precisione un meraviglioso relitto che in precedenza si pensava risalisse all’epoca romana e invece è molto più recente. L’imbarcazione risale al tardo ‘800. In realtà si tratta di un natante che trafugava colonne antiche per il reimpiego in nuove strutture, come nelle ville.
Il presidente dell’associazione, Antonio Pugliese, ha raccontato la National Geographic:
Nel corso di alcune ricerche che stiamo conducendo sull’individuazione dei relitti di cannoniere affondate nella battaglia del canale di Procida del 1806, ci siamo imbattuti nuovamente nei resti di una nave che nulla aveva a che fare con le vicende belliche di quel periodo. Il natante affondato, di cui al momento ignoriamo il nome, molto probabilmente depredava il territorio flegreo in cerca di strutture marmoree d’epoca romana di pregio da rivendere come ornamento, forse per arricchire ville nobiliari del sud della Francia, o più semplicemente per ricavare calce per le costruzioni edilizie.
Un video amatoriale del sub Franco Lillini e dell’archeologo Gennaro di Fraja, ha confermato la presenza di colonne romane sommerse. Secondo il sub:
Si tratta di un’imbarcazione che in un primo tempo si pensava fosse d’età romana, poi successivamente l’analisi dello scafo, lungo circa venti metri e in gran parte ancora insabbiato, ha consentito di datare approssimativamente – e non ufficialmente – ad un periodo compreso tra fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Tra i materiali di spoglio che rappresentavano il carico al momento del naufragio, si annoverano due grossi rocchi di colonne e tre trabeazioni in marmo. È molto probabile che fossero destinate a diventare calce per costruzioni o ornamento per abitazioni nobiliari.
Non solo colonne dunque, ma anche rocchi di colonne proveniente probabilmente dal Macellum di Pozzuoli, come spiega il National Geographic, impropriamente denominato nel passato Tempio di Serapide. A parziale conferma, la presenza dei caratteristici fori di litodomi – i cosiddetti datteri di mare che vivono a pelo d’acqua, riscontrabili, per effetto del bradisismo, anche sulle colonne superstiti del serapeo puteolano.