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Il premio Nobel americano elogia l’Italia per la gestione dell’emergenza

Paul Krugman, premio nobel per l'economia, bacchetta la gestione della pandemia americana ed elogia invece quella italiana: "Perché l'America di Trump non può essere come l'Italia?"

Elogio all’Italia da parte del premio Nobel per l’economia Paul Krugman che riconosce sul New York Times la buona gestione circa l’emergenza Covid da parte el nostro Paese. Bacchetta la Casa Bianca e il governo di Trump che non si è dimostrato all’altezza dell’emergenza. In America i contagi non accennano a diminuire e viaggiano sui 75 nuovi casi giornalieri.

Krugman cade in qualche stereotipo: gli italiani che non sempre sono inclini a seguire le regole, la burocrazia fa la sua parte, poi ne elogia le caratteristiche in merito alla vicenda Coronavirus. “L’Italia è stato il primo Paese occidentale ad avere una grande ondata di contagi. Gli ospedali erano sopraffatti e il bilancio iniziale delle vittime terribile. Poi è stato raggiunto il picco ed è iniziato un ripido calo. I funzionari della Casa Bianca erano convinti che anche l’America avrebbe avuto lo stesso percorso. E invece no“.

Krugman si chiede: “Perché l’America di Trump non può essere come l’Italia?“. Il Fatto Quotidiano riporta le parole dell’economista che spiega quanto la Casa Bianca abbia ignorato i suggerimenti degli esperti e spinto ad una rapida riapertura oltre a inviare messaggi errati sull’inutilità dell’uso delle mascherine: “A questo punto possiamo solo guardare speranzosi al successo dell’Italia nel contenere il coronavirus: ristoranti e bar sono riaperti, se pur con delle restrizioni la vita è ripresa in modo normale e il tasso di mortalità in Italia è un decimo di quello negli Stati Uniti“.

L’America di Trump fa tanti passi indietro a detta di Krugman che sottolinea: “Dopo tre anni e mezzo spesi a cercare di rendere l’America di nuovo grande, siamo invece diventati un paese patetico agli occhi del mondo. Possiamo solo invidiare quanto ha saputo fare l’Italia. Spesso il paese è descritto come il malato d’Europa: cosa si dovrebbe dire allora di noi americani?“.

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