Se la Gioconda fosse napoletana, sarebbe una soddisfazione immensa! Il ritratto rinascimentale più famoso al mondo, quel dipinto che attira milioni di visitatori ogni anno al Louvre di Parigi, potrebbe essere quello di una dama napoletana. La storia è al quanto intricata, bisognerà andare per gradi.
Partiamo dalla conoscenza attuale. La tesi più accreditata è riportata ne “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti“, una raccolta di biografie degli artisti italiani più noti e pubblicato a Firenze nel 1550 dal Vasari. In questo eccellente trattato l’autore racconta che la Monna Lisa dipinta da Leonardo Da Vinci, è quello di Lisa Gerardini, moglie di uno degli uomini più facoltosi di Firenze: Francesco del Giocondo.
Il Giocondo sposò questa donna, una nobile decaduta, in terze nozze. Così per festeggiare la nuova casa e la nascita del loro secondo figlio, commissionò il ritratto della consorte al Genio. Stiamo parlando ovviamente di quel dipinto dal quale Leonardo non si separò mai. Lo portò con sé in Francia anche se si perde il passaggio o il motivo per il quale non fu consegnato al signore di Firenze.
In realtà il Giocondo venne in possesso del quadro, ma pare che estinta la famiglia, nel XVIII secolo, finì nelle mani di un mercante d’arte, Hug Blaker. In seguito invece lo acquisì un certo Pulitzer (tenete a mente questo nome, non immaginate quanto sia importante).
La Monnalisa Napoletana
Sappiamo che la Napoli rinascimentale accolse nel suo grembo una meravigliosa nobildonna, Costanza d’Avalos e sappiamo con certezza che Leonardo Da Vinci l’avrebbe ritratta personalmente in un dipinto andato perduto. Almeno è quello che si sosteneva fino a qualche decennio fa. Negli anni ’70, infatti, il noto antiquario londinese Pulitzer (vi avevo detto di non dimenticare questo nome, ndr) affermò che in realtà il volto della Monna Lisa fosse quello di Costanza d’Avalos, mentre il dipinto di Lisa Gherardini lo avrebbe posseduto lui stesso; un dipinto incompleto, ritirato personalmente dal Giocondo per custodirlo nella propria dimora fiorentina.
Incompiuto perché? La storia ce lo testimonia: Leonardo da Vinci spesso lasciava incompiuti i suoi capolavori, e infatti il Pulitzer racconta che poco prima di ultimare il dipinto per il Giocondo, Giuliano de’ Medici glie ne avrebbe commissionato un altro, il ritratto della sua amante: Costanza d’Avalos. Tesi sostenuta anche da Giovanni Paolo Lomazzo che strinse un rapporto molto stretto con uno degli allievi di Leonardo, Francesco Melzi. Infatti nel suo Trattato dell’arte e della pittura del 1584, c’è un passaggio che gela il sangue: “l’opere finite di Leonardo da Vinci, come la Leda ignuda e il ritratto di Monna Lisa napoletana...”.
Adolfo Venturi, storico dell’arte, trova un riferimento in un’altra opera letteraria: il Canzoniere del 1520 del poeta Enea Irpino. In questa opera si descrive il dipinto eseguito da Leonardo alla d’Avalos nella residenza isolana della signora. Ergo il quadro non fu mai consegnato a Giuliano de Medici, costretto a sposare Filiberta di Savoia e per questo non poteva certo conservare il ritratto della sua ex amante sotto gli occhi della consorte. Per questo Leonardo lo portò sempre con sé, anche perché era segretamente innamorato della valorosa castigliana-napoletana.
Quali sono le origini di Costanza d’Avalos?
Anche la sua storia trova riscontro nel dipinto di Leonardo. Conosciamo la sua storia grazie a Benedetto Croce: nacque nel 1460 a Napoli da Innico d’Avalos, marchese del Vasto. Nel 1477 divenne principessa di Taranto perché andò in sposa a Federico del Balzo. All’età di 40 anni, ancora bella ma soprattutto intelligente e colta, rimase vedova con due figli e il re Federico I di Napoli le fece dono del ducato di Francavilla. Dopodiché Costanza decise di seguire il fratello Innico II d’Avalos a Ischia, isola che riuscì a difendere egregiamente contro i francesi. Vittoria che le fece guadagnare il governo. Qui, nella meravigliosa isola d’Ischia, Leonardo la ritrae in uno scuro costume vedovile che rispecchia esattamente lo stato civile di Costanza d’Avalos.
Fonti: “101 perché sulla storia di Napoli che non puoi sapere” – Newton Compton Editori