Da Pompei, l’antica città romana, emergono sempre nuovi reperti che la storia ci restituisce. Massimo Osanna, direttore del Parco Archeologico, commenta così il ritrovamento dello scheletro di un bambino di 7-8 anni:
Pompei è a una svolta per la ricerca archeologica non solo per le scoperte eccezionali che regalano forti emozioni come nel caso di questo ritrovamento. Ma anche perché si è consolidato un nuovo modello di approccio scientifico che affronta in maniera interdisciplinare le indagini di scavo.
Lo scheletro di questo bambino è stato inevitabilmente vittima dell’eruzione del Vesuvio. È stato rinvenuto nell’ambiente delle Terme Centrali, già nell’800 oggetto di restauro.
Un team di professionisti specializzati – sottolinea Osanna – quali archeologi, architetti, restauratori ma anche ingegneri, geotecnici, archeobotanici, antropologi, vulcanologi lavora stabilmente, fianco a fianco e con il supporto di risorse tecnologiche all’avanguardia, per non lasciare al caso nessun elemento scientifico, e dunque ricostruire nella maniera più accurata possibile un nuovo pezzo di storia che, attraverso gli scavi, ci viene restituito.
Grazie alle indagini antropologiche che vengono condotte in maniera sistematica fin dal ritrovamento dei reperti, sarà possibile determinare eventuali patologie
Lo scheletro è stato rimosso e trasferito al Laboratorio di ricerche applicate del Parco Archeologico. La peculiarità del ritrovamento è che lo scheletro è immerso nel flusso piroclastico (mix di gas e materiale vulcanico). Normalmente nella stratigrafia dell’eruzione del 79 d.C. è presente nel livello più basso il lapillo e poi la cenere che sigilla tutto. In questo caso si doveva trattare di un ambiente chiuso dove il lapillo non è riuscito ad entrare né a provocare il crollo dei tetti, mentre è penetrato direttamente il flusso piroclastico dalle finestre, nella fase finale dell’eruzione.