È finita l’epoca in cui gli utenti credevano che insultare qualcuno su Facebook equivalesse a non averlo fatto o evitare denunce dato il mondo virtuale. Un esempio è la sentenza emessa dalla corte di Cassazione in merito ad un contenzioso tra un insegnante di 69 anni e l’azienda olearia di Alghero “San Giuliano”.
Il commento diffamatoria fu lasciato sotto al post di un articolo pubblicato dal Sole 24 ore. Divenne così virali che anche il sindaco lo condivise. E fu proprio sotto il post del sindaco che un certo “Sergio Volpe” lascio il suo commento diffamatorio tanto che spinse l’azienda offesa a fare indagini e da lì, la polizia postale intuì l’identità fake e dietro a quel nome si celava infatti Salvatore Unzamu oggi condannato dal Tribunale a pagare una multa di 800 euro oltre ad una provvisionale di 3.000 euro imposta dal giudice.
Questo caso risale al 2013 e in virtù a tale esperienza la Cassazione ribadisce che gli insulti su Facebook sono paragonabili a reati. Per questo motivo lo scorso anno la sentenza 2723/2017 aveva sancito che:
La divulgazione di un messaggio tramite Facebook, ha, per la natura di questo mezzo, potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, che, del resto, si avvalgono del social network proprio allo scopo di instaurare e coltivare relazioni interpersonali allargate ad un gruppo di frequentatori non determinato; pertanto se il contenuto della comunicazione in siffatto modo trasmessa è di carattere denigratorio, la stessa è idonea ad integrare il delitto di diffamazione.
Gli insulti su Facebook sono ancora più pericolosi. Un insulto negativo spinge gli altri a farli, a seguire il proprio esempio, anche senza pensarci, per questo motivo nel 2016 sempre la Cassazione aveva stabilito che le offese sui social network sono più gravi: “integrano un’ipotesi di diffamazione aggravata“.