Ester Viola è una giornalista e autrice di una lettera che in queste ore sta facendo il giro del web. Bellissime le sue parole su Napoli, sulla sua città che si lascia amare ma che fa anche disperare. Comparsa tra i commenti del Corriere del Mezzogiorno, vi riportiamo la versione integrale.
“Lasciare Napoli è facile. Qui il cielo non è fratello di nessuno“, l’ha detto una volta Giuseppe Marotta che sapeva scrivere capolavori lunghi mezza frase. Lasciare Napoli è una cosa di mezz’ora. Succede una mattina e somiglia alla delusione di quando all’improvviso scopri che c’è una data di scadenza pure sull’amore che pensavi eterno. Non sai dire bene se è nausea o stanchezza, decidi solo che è abbastanza. È come il quadro che cade: non ti avverte, come se a decidere fosse il destino e non un chiodo. L’altra cosa di cui t’accorgi è che sei troppo sicuro di volertene andare. Quanto dev’essere profondo un desiderio per non dare spazio nemmeno a un dubbio? Lasciare Napoli è comodo perché non sembra neanche un addio, hai la certezza che farai sempre in tempo a tornare, e che certamente lo farai quando ti servirà: da vecchio. Napoli in fondo sa curare qualsiasi cosa: nel 1800 la città più malata d’Italia era una città di miracoli e di guarigione – non è per quello che scelse di viverci anche Leopardi? Lasciare Napoli si fa senza portarsi dietro troppi rimpianti. Cosa dovresti rimpiangere? Che quando ci vivevi ti hanno chiesto di aspettare pazientemente per tutto, dalla grazia del cielo alla metropolitana? Lasciare Napoli non è proprio lasciarla. Mentre ti convinci a vivere da un’altra parte, ti ripeti quasi tutti i giorni che ci tornerai spesso, e ci tornerai contento come un turista. Perché Napoli per due giorni è magnifica, basta mezz’ora su un aliscafo per sbarcare nei posti più belli dell’universo, puoi scegliere tra una decina.<
Invece il resto della città – dici a te stesso — non ti mancherà. E Napoli in effetti non ti manca, perché la verità è che vorresti mancare tu a lei. È uno di quegli amori sgraziati con uno dei due che vuole tutto mentre l’altro si tiene lontano per prudenza, con nessuna intenzione di ricambiare. “C’è qualcosa in questa terra che resta come una matrice unica“, la sentenza è di Mario Martone in un’intervista rilasciata a Natascia Festa sul Corriere del Mezzogiorno di sabato scorso.<
Lasciare Napoli significa cominciare a odiarla da lontano. Quando sarai per strade di città più civili da abitare, dove sono capaci disegnare le facciate dei palazzi, posti in cui le case non sono un’eterna inquietudine di corrosi mattoni, un voltarsi e rivoltarsi di muri ammalati, inizierai anche a dirti “Napoli non era poi così bella”.
E insieme a quello che ha di insopportabile questa città, rinuncerai a spiegare cos’ha di insostituibile: perché come pensi di convincere chi vive da un’altra parte che la primavera qui è una cosa che si vede già a dicembre? Quali parole troverai per descrivere cosa succede a giugno, quando Napoli si apre al sole come l’anguria spaccata? Lasciare Napoli alla fine è solo questione di scegliere tra andarsene e pensarci spesso, oppure restare e passare tutta la vita a perdonarla.
Cosa vuol dire l’ha raccontato Elena Ferrante nella Storia del Nuovo Cognome. Lenù parte per Pisa a studiare e cerca di dimenticare Nino Sarratore leggendo libri di letteratura. Incontra un bravo ragazzo e siccome è disperata si costringe a pensare che per vivere felici può bastare anche solo la serenità. Poi però conclude: “Con grande rammarico, non ce la feci a innamorarmi”. E torna da Nino. Lasciare Napoli è una guerra inutile. perché Napoli ogni tanto ti rivuole, ma solo per tradirti un’altra volta.