Il culto delle “anime ‘o Priatorio” (anime del Purgatorio) è molto sentito a Napoli. In tutte le regioni d’Italia, e in tutto il mondo, ci sono diversi culti, storie, tradizioni che legano il mondo dei vivi a quello dei morti, ma solo a Napoli esiste il culto delle “anime del Purgatorio”.
È noto che i napoletani onorano da secoli il rapporto con i morti, e le anime del Purgatorio sono quelle più vicine alla vita, a metà strada tra inferno e paradiso. L’abitudine era quella di pregarle per aiutarle a salire in cielo e ricevere favori, un’abitudine che di certo non è svanita.
Basti tuttavia pensare al rapporto viscerale che i napoletani hanno con San Gennaro, tanto da stipulare con lui un contratto di reciproca fiducia. Può restare patrono di Napoli fino a quando compie il miracolo. E quando accade per i partenopei non c’è da preoccuparsi.
La parola d’ordine per questo culto è “devozione”. Nel XVII secolo Napoli fu colpita da una serie di eventi funesti, come l’epidemie e appunto la “peste”. I sopravvissuti, così, pregavano le anime che non erano riuscite a salvarsi in modo tale che potessero accedere al paradiso, stabilendo così un legame col defunto.
Nelle chiese, nelle pitture, sculture e “figurelle” napoletane, le anime del Purgatorio sono rappresentate come anime disperate con braccia rivolte verso l’alto, verso una figura Santa, mentre le fiamme le avvolgono.
Altro simbolo che ci ricorda questo culto nella città partenopea sono senza ombra di dubbio le edicole votive. Rappresentano una speranza per i napoletani. Tali anime purganti avrebbero il potere di intercedere in favore dei viventi, che cercano conforto, aiuto per superare una malattia, o per le “zitelle” di trovare presto marito.
Le anime del purgatorio, il rito per trovare un marito
Nella società settecentesca, a Napoli, e nel resto d’Italia, era molto importante maritarsi o meglio “sistemarsi” per garantire a se stesse un futuro roseo accanto un marito e dei figli. Dunque, le donne “single”, superata l’età da marito, cercavano in qualche modo di trovarlo attraverso una grazia, e per questo chiedevano aiuto alle anime del Purgatorio.
Tale culto veniva praticato da donne definite “maste”. Si recavano negli ipogei, o vedi il cimitero delle Fontanelle, e dall’ossario sceglievano una capuzzella (il rito iniziava il lunedì, nel paganesimo giorno consacrato ad Ecate e Diana). Pregavano fino ad arrivare a livelli di “trance”, e una volta scelto il proprio teschio, lo portavano a casa e con lui stabilivano un contatto. Il rito iniziava lavando la capuzzella con lo spirito per poi apporre un fazzoletto di stoffa. Lo step successivo doveva essere una sorta di “sogno premonitore”. Se di notte, dopo aver adottato il teschio, la donna avrebbe sognato di colloquiare con uno sconosciuto, uomo o donna, e questi avrebbe raccontato la propria vita, allora sarebbe stato interpretato come un segno che il “contratto” era stato sancito. Il giorno dopo il fazzoletto di stoffa veniva sostituito da un fazzoletto ricamato a mano. E la preghiera sarebbe continuata fino a quando l’uomo giusto non si fosse fatto avanti. Alcune capuzzelle, inoltre, sono diventate famose. Quasi come un’agenzia di matrimoni, l’uomo giusto bussava alla porta della “masta” che con tanta devozioni aveva chiesto la preghiera al proprio teschio.
Ad ogni modo il culto, evidentemente pagano, fu vietato nel 1962 dal Concilio Vaticano II. Le migliaia di capuzzelle senza nome, ammassate le une sulle altre, durante le pestilenze, non avevano identità certa e per questo nessuno poteva sancire la “santità” del vivente, oltre ad aver vietato il culto per rispetto nei confronti del defunto stesso.
Ecco un esempio di preghiera per liberare le anime del Purgatorio:
Ti adoro, o Croce Santa, che fosti ornata
del Corpo Sacratissimo del mio Signore,
coperta e tinta del suo Preziosissimo Sangue.
Ti adoro, mio Dio, posto in croce per me.
Ti adoro, o Croce Santa,
per amore di Colui che è il mio Signore.
Amen.